Yoga e Marco Polo · Test Web Page

Yoga e Marco Polo

da «Il Milione» di Marco Polo

FONTE: Edizione a cura di Valeria Bertolucci Pizzorusso, Adelphi, 1975

Capitolo 173 - Della provincia di Lar.

Lar è una provincia verso ponente, quando l’uomo si parte dal luogo ov’è il corpo di san Tomaso. E di questa provincia sono nati tutti li bregomanni (brahmin) e di là vennero primamente. E si vi dico che questi bregomanni sono i migliori mercatanti e’ più leali del mondo, ché giamai non direbbero bugia per veruna cosa (del mondo), né non mangiano carne né non beono vino. E l stanno in molta grande onestade, e non tocherebboro altra femina che loro moglie, né none ucciderebboro veruno animale, né non farebboro cosa onde credessoro avere peccato.

Tutti li bregomanni sono conosciuti per uno filo di bambagia ch’egli portano sotto la spalla manca, e si ‘I si legano sopra la spalla ritta, sicché li viene il filo atraverso il petto e le spalle. E si vi dico ch’egli anno re ricco e potente, e compera volontieri perle e priete preziose, e conviene ch’abbia tutte le perle che recano li mercatanti delli bregomanni da Mabar, ch’è la migliore provincia ch’abbia l’India.

Questi sono idolatri e vivono ad agura d’uccelli e di bestie più ch’altra gente. Ed avi uno cotale costume: quando alcuno mercatante fa alcuna mercatantia, elli si pone mente a l’ombra sua; e se l’ombra è tamanta come dee essere, si compie la mercatantia, e s’ella non fosse tale come dé essere in quello die, non la compie per cosa del mondo: e questo fanno se(m)pre. Ancora fanno un’alt(r)a cosa: che quando elli sono in alcuna bottega per comperare alcuna mercatantia, e se vi viene alcuna tarantola - che ve n’à molte-, si guata da quale parte ella viene: e puote venire da tale parte ch’e’ compie il mercato, e da tale che che per cosa del mondo noi compieebbe. Ancora, quando escono di casa, ed egli oda alcuno starnuto che no gli piaccia, imantenente ritorna in casa e none anderebbe più inanzi.

Questi bregomanni (brahman) vivono più che gente che sia al mondo, perché mangiano poco e fanno magiore astinenza; li denti anno bonissimi per una erba ch’egli usano a mangiare. E v’à uomini regolati che vivono più ch’altra gente, e vivono bene 150 anni o ’nfino 200 anni, e tutti sono prosperosi a servire loro idoli; e tutto questo è per la grande astinenza ch’e’ fanno. E questi regalati si chiamano congi(u)gati (yogi). E ’l mangiano sempre buone vivande, cioè, lo più, riso e latte; e questi congiugati (yogi) pigliano ogne mese uno cotale beveraggio: che tòlgoro arien(t)o vivo e solfo, e mischiano insieme coll’acqua e béollo; e dicono che questo tiene sano e ’lunga gioventùdine, e tutti quelli che l’usano vivono più del li altri.

E Ili sono idoli, ed anno tanta isperanza nel bue, che l’adorano; e li più di loro pòrtaro uno bue di cuoio [o] d’ottone inorato nella fronte. E l vanno tutti ignudi sanza coprire loro natura alcuno di questi regolati; e questo fanno per grande penitenzia. Ancora vi dico ch’elli ardono Tossa del bue e fannone polvere, e di quella polvere s’ungono in molte parti del loro corpo con grande reverenzia, altressi come fanno i cristiani dell’acqua santa. E l non mangiano né in taglieri né in iscodelle, ma in su foglie di certi àlbori, larghe, secche e non verdi, ché dicono che le verdi anno anima, sicché sarebbe peccato. Ed elli si guardano di non fare cosa ond’ellino credesser avere peccato, enanzi si lascerebboro morire. E quando sono domandati: «Perché andate voi ignudi?», e quelli dicono, perché in questo mondo non ne r[e]caro nulla e nulla vogliono di questo mondo: «N oi non abiamo nulla vergogna di mostare nostre nature, perciò che noi non facciano con esse veruno peccato, e per(ciò) noi non abiamo vergogna più d’un vembro che d’altro. M a voi, che li po(r)tate coperti, e perciò che voi li aoperate in peccati, e perciò avete voi vergogna». Ed ancora vi dico che questi none ucciderebbero niuno animale di mondo, né pulci né pidocchi né mosca né veruno altro, perché dicono ch’elli anno anima, onde sarebbe peccato. A ncora no mangiano niuna cosa verde, né erba né frutti infino tanto che non sono secchi, perché dicono anche ch’anno anima. Elli dormono ignudi in sulla terra né non tengono nulla né sotto né adosso; e tutto l’anno digiunano e no mangiano altro che pane ed acqua.

Ancoravi dico ch’elli anno loro aregolati, che guardano l’idoli. Ora li vogliono provare s’egli sono bene onesti, e mandano per le pulcel le che sono oferte al l’idoli, e fannoli toccare a loro in più parte del corpo ed istare con loro in sollazzi; e se ’l loro vembro si rizza o si muta, si ’l mandano via e dicono che non è onesto, e non vogliono tenere uomo lusorioso; e se ’l vembro non si muta, si ’l tengono a servire l’idoli nel munistero.

Questi ardono li corpi morti, perché dicono che se e’ non s’ardessero, e’ se ne farebbe vèrmini, e quelli vèrmini si morrebbero quando non avessero più che mangiare, sicch’egli sarebbero cagioni della morte di quelli vermi; [perciò] che dicono che li vermi anno anima, onde l’anima di quello cotale corpo n’averebbe pena nell’altro mondo. E perciò ardono i corpi, perch’e’ no meni vèrmini.

da «Il Milione» di Marco Polo - Il Milione Veneto - Capitolo CXL (1298)

FONTE: Biblioteca Italiana - Il Milione Veneto

Del regniame de Lier, dove la zente non dixe boxie.

Quando l’omo se parte de quella contrà in la qual è el corpo de san Tomaxio e ’l va verso ponente, el truova una provinzia ch’è apellata Lier. In questa contrà <è> i abraiani, li quali è plui veritevole zente che sia al mondo: i non dirave una bosia nì una falsità per cossa del mondo. Et sono molto chasti; zaschuno è chontento de soa moglier, e si guarda molto de tuor l’altrui e de robar et de involar. E non beveno vino e non manzano de charne, e non alzideno niuno animalle. I èno idolatri e tendeno molto a’ agurii d’oxielli e a intopo de bestie. Quando i vuoleno far alchun merchato, i vuoleno anche saver quanto è longa la soa onbra al solle. E àno soe regulle azò i fano grande hastinenzia e manzano molto tenperatamente. I uxano a manzar d’una erba la qual i fa ben paire, et perziò i èno molto sani e mai non se fano tuor sangue. In questa contrà è molti religioxi segondo soa fe’ che serveno alle giexie, là dove è le suo’ idolle, li qual sono apellati zingui, e viveno plui che zente che sia al mondo. I viveno chomunalmente ben zento e zinquanta ani; e questo è per la vita, ché i fano molto grande astinenzia de manzar et de ber, e uxano bone vivande. E uxano una vivanda molto strania da udire, che i uxano do fiade al mexe: una bevanda d’arzento vivo mesedado chon zafaran. Et sono uxi a questa cossa fino che i èno picoli, e dixeno che per questa bevanda i viveno plui tenpo. Ancora è altri religioxi in questa provinzia che fano molto aspra vita per amor delle suo’ idolle. I vano tuti nudi e non se chuovreno de niente, e dixe che i non àno vergognia de star a cotal modo perché i non àno alchun pechato. I adorano el bò, e portano uno bò pizollo de bronzo ligato sul fronte; e onzesse tuti chon una onzion fata de polvere d’osse de bò. E non manzano in schudella né in taier, ma sule foglie de pome de paradixo e su altre foie grande quan[d]o ’le èno siche: i non manzano su foie verde nì manzeraveno fruto verde perché i dixeno che lle cosse verde àno anima. E non alziderave nesuno animal, nì grando nì pizollo, perché i dixeno l’è gran pechato. I non farave niuna cossa che fosse pechato sechondo soa lezie per cossa del mondo. I dormeno nudi sula tera e fano arder tuti i corpi morti.

Dall’ Itinerario nello Egitto, nella Soria nella Arabia deserta, & felice, nella Persia, nella India, & nela Ethyopia di Ludovico de Varthema (1510)

»FONTE«

Capitolo «del vivere, & costumi del Re de Ioghe»

Questo Re de Ioghe si è homo de gran signoria & fa circa .xxx. millia persone, & e gentile, & tutto el populo suo, & da li Re gentili lui col suo populo e tenuto santo per la loro vita laqual intenderete. El Re ha per costume de andare ogni iii. o .iiii. anni una volta in peregrinagio come peregrino, cioe a spese daltri con .iii. o .iiii. milia de li soi, & con la moglie, e li figlioli. Et mena .iiii. o .v. corsieri & gatti de zibetto, gatti maimoni, Papagali, Leopardi, Falconi & cosi va per tutta la India Lhabito suo sie una pelle de capra, cioe una denanti e una de drieto con el pelo di fora, & e di colore, leonato scuro, per che qui comenza essere la gente piu obscura che biancha. Tutti portano grandissima quantita de gioie & perle & altre pietre preciose alle orecchie, & vanno pur vestiti allapostolica & parte portano camise & el Re: & alcuni de piu nobili vanno con la faccia: & le bracie & el corpo tutto infarinato de sandola macinato & de altri odori perfettissimi. Alcuni de questi se piglia per devotione de non sedere mai in cosa alta. Et alcuni altri hanno per divotione de non sedere in terra. Alcuni de non star mai destesi in terra. Altri de non parlar mai. Et questi tali sempre vanno con .iii. o .iiii. compagni che li servino, tutti generalmente portano uno cornetto al collo: & quando vanno in una citta tutti de compognia sonano li ditti cornetti: & questo fanno quando vogliono che li sia dato la elemosyna: & quando el Re non va, loro vanno almeno .ccc. o .cccc. alla volta, & stanno tre giorni in una Citta ad usanza de Singani. Alcuni de costoro portono un bastone con un cerchio de ferro da piede. Alcuni altri portano certi taglieri de ferro liquali taglian atorno atorno come rasori, & tirano questi con una fionda quando vogliono offendere alcuna persona: & cosi quando questi arrivano in alcuna Citta de India ogni homo gli fa gran piacere, perche se ben amazzassero el primo gentilhomo della Terra non portano pena alcuna, perche dicono che sono Santi. El paese de questoro non e troppo fertile, anzi hanno carestia de vivere, & sono piu montagne che e piani. Le loro habitationi sono molto triste, & non hanno Terre murate: per mano de questi tali vongono nelle parte nostre de molte gioie, perche questoro vanno per la loro liberta, & santita infino dove nascono, & dalli le portano in altri paesi senza alcuna spesa, si che per havere el paese forte tengono in guerra il Soldano Machamuth.

Dal capitolo «Come io fugi da Canonor a Portogallesi»

El Cadì Moro fece un consiglio con tutti li mercanti Mori , infra li quali- adunorono cento ducati, li quali portarono a lo Re de Gioghi, el qual se trouaua allhora in Calicut con tre millia Gioghi. Al quale dicti Mori dissero: Signore, tu sai li altri anni, quando tu uieni qui, nui te fecemo molto bene, et più honore che non facemo adesso : la causa è questa, che sono qui dui Christiani inimici de la fede nostra e uostra, li quali auisano li Portogalesi de tute quello che se fa in» questa terra; et per questo te pregamo che tu li amazi; et piglia questi e. ducati. Subito el Re de Gioghi mandò ce. homini ad amazare li dicti dui Christian!; et quando andorono alla sua casa, comenzorno a diece a diece a sonare corneti, et domandare la elemosyna. Et quando li Christiani uidero multiplicare tanta gente, dissero : questi uogliano altro che elemosyna ! Et comenzarono a combattere per modo, che essi dui ne amazorono sei de quelloro, et ne ferirono più de xl. A l’ ultimo questi Gioghi li tiróno certi ferri, che son facti a modo de una rotella, et tiróno con una fionda, et dettero a Ioanmaria ne la testa, et a Pietro Antonio nella testa, per modo che cascorono in terra; et poi gli corsero adosso, et li tagliorono le uene della gola, et con le mane li bibero el sangue. La femina de Ioanmaria se ne fugì con el figliolo in Canonor, et io comprai el figliolo per octo ducati d’ oro, el quale io lo feci baptizare el dì de san Lorenzo, et poseli nome Lorenzo , perchè lo baptizai quel dì proprio; et in termine de un anno, in quel di medesimo, moritte de mal franzoso. Sapiate che de questa infermità io ne ho uisto de là da Calicut tre mille miglia, et chiamase Pua ; et dicono che sono circa xvii. anni che comenzò, et è assai più catiuo del nostro.

da «Viaggi di Pietro della Valle, il Pellegrino», Volume secondo (1665)

Descritti da lui medesimo in lettere familiari all’erudito suo amico Mario Schipano : divisi in tre parti cioè: la Turchia, la Persia e l’India, colla vita e ritratto dell’autore

FONTE1 FONTE2

[p632] Il giorno appresso poi tornai da me al tempio degl’Indiani per parlare con alcun di loro. Non vi trovai niuno dei due che avevan digiunato: ma vi era solo un altro vecchio lor compagno, col quale abboccandomi mi disse che essi eran di quei sami che professavan vita religiosa, ma differente da un’altra specie più nota, perchè forse è più numerosa di certi altri religiosi pur fra gl’Indiani gentili che chiamano gioghi. Che i veri gioghi son quelli che vanno quasi sempre nudi, con una sola pelle o di pantera o di qualche altro bello animale, attraverso per coprirsi le vergogne: e senza dubbio sono i Gimnosofisti degli antichi. Ma che i samì, per contrario, van vestiti, e per lo più quasi sempre di rosso. Che non pigliano moglie: che mangiano carne, fuorchè di vacca; ma gli animali di lor mano non uccidono. In che molti altri Indiani, massimamente in Cambaia, sono assai più rigorosi, poichè non solo non uccidono nè mangiano, i più stretti, cosa vivente, ma alcuni arrivano a tanto, che neppur erba che rosseggi, o in qualche modo mostri color di sangue vogliono gustare. Di un libro di certa dottrina de’ gioghì che io gli domandai, perchè lo tengo appresso di me tradotto d’indiano in persiano, ed è curioso assai, non seppe darmi nuova; o perchè egli non fosse dotto, o perchè forse non m’intendesse bene, chè non sapeva egli molto la lingua persiana; e parlavamo insieme con aiuto d’interprete idiota, ed era uno di quelli che essi chiamano brahmani, nome tra di loro non di setta, ma di razza fra gli Indiani la più nobile.

[p667] Nel particolar tuttavia degli anni della sua età io non son facile a credere, perchè so che è costume fra di loro di gloriarsi, chi può farlo, di vecchiezza grande: non ostante che io abbia sentito raccontar di molti che in India han vissuto età maravigliose al nostro secolo, e l’abbia anche letto in un libro che io ho delle dottrine de’ Gioghi, dove tra le altre cose strane, che per lo più consistono in superstiziose loro cerimonie, e certe maraviglie, a forza di contemplazione, che a detto loro ne seguono, io le ho per illusioni diaboliche, piuttosto che per effetti reali; si tratta anche del modo da prolungarsi molto la vita, quei di loro che arrivano a certe lor perfezioni, e sin di farsi uomini spirituali, e diventare in tal guisa immortali, e non morir più, per quanto suona la lettera, benchè questo ultimo da un uomo dotto mi fosse interpretato doversi intender con senso mistico, non compreso da ogni uno, cioè che l’uomo spirituale è veramente immortale, perchè non fa conto di altra vita che della vita dell’anima, la quale è immortale, e facendo poco caso della morte del mortal corpo col viver dell’anima, che solo suo viver stima, immortale diviene.

[p754] Innanzi all’idolo, dove è fabbricato un poggiuolo alto alquanto da terra, assiste di continuo alcuno de’ lor gioghi, che fra gl’Indiani sono certa specie di romiti; e talvolta ho veduto starvi anche una donna. […] E raccontano di un elefante che un giorno a caso mangiò una sola foglia di quell’albero; perlocchè, punito dall’idolo, in termine di tre giorni morì. Io ho saputo esser vero che il caso avvenne in questa maniera; ma si tiene che gli stessi custodi dell’idolo, per riputazione del luogo, avvelenassero l’elefante, o pur l’ammaliassero: nelle quali arti, i gioghi e religiosi de' gentili sogliono esser molto destri.

[p783] Onde noi che particolarmente, per veder queste lor cose, eravamo venuti, il medesimo giorno che arrivammo, dopo aver desinato e riposato alquanto, ci facemmo condurre a vedere uno spedale famoso che vi è, di uccelli di ogni sorta, i quali per esser, chi ammalato, chi storpiato, chi senza la sua compagnia, o in altro modo bisognoso di vitto e di cura, sono ivi custoditi e governati con diligenza, come anche gli uomini che ne hanno pensiero, mantenuti di pubbliche limosine, stimando gl’Indiani gentili, i quali con Pitagora, e con gli Egizi antichi che, a detto di Erodoto, di tale opinione furono i primi autori, credono la trasmigrazione delle anime, e non solo di uomo in uomo, ma anco di uomo in animale bruto, che sia perciò non meno opera di carità far bene alle bestie che agli uomini.

[p791] Di color rosso, fra questi Indiani, oltre le donne, vestono anche i samì, che sono fra di loro una specie di religiosi: di rosso si tingono talvolta il corpo in molte parti i gioghi che vivon da romiti e van mendicando, e di rosso ancora, con giallo frapposto, cioè, con segni alcuni di sandalo, ed altri di zafferano, vanno spesso quasi tutti gl’Indiani gentili tinti la fronte, e talora anco le vesti, come appunto riferisce Strabone, per detto di Onesicrito, che facevano anche al tempo di Alessandro Magno. […] Fra gli altri libri, ci mostrò quello della lor setta, nel quale benchè fosse legato per il lungo, come è solito de’ libri, i versi nondimeno erano scritti per traverso nella carta, a foggia di certi nostri libri di musica. Ci affermò per cosa certa che era opera di Pitagora, il che ben confronta con quello che scrive Filostrato, di aver detto Iarcha ad Apollonio: cioè, che essi Indiani credevano dell’anima quello che Pitagora ad essi, ed essi agli Egizii ne avevano insegnato, che sarebbe appunto il contrario di quello che qui addietro io diceva esser mia opinione, di qual di questi due popoli sia stato il primo ad insegnare all’altro.

[p 815] Andammo quivi a vedere un famoso tempio che vi è di Mahadeù, a l quale a tutte le ore è grandissimo concorso di gente, e la strada che vi conduce è sempre piena, non solo di popolo che va o viene dal tempio, ma anche di mendici che stanno di qua e di là domandando limosina a chi passa. […] Assistono di continuo dentro al tempio molti gioghi nudi, che solo con una piccola fascia le vergogne, e quelle nè anche bene si ricuoprono, e portano capelli lunghi e sparsi, tingendosi bene spesso la fronte con macchie di sandalo, di zafferano e di altri lor colori, conforme a certe lor superstiziose cerimonie. Nel resto del corpo andavan questi gioghi netti e puliti, senza tintura nè sporchezza alcuna; il che dico a differenza di alcuni altri gioghi che vanno col corpo tutto sporcato di colori e di cenere, come appresso dirò. Non ha dubbio che costoro sono i gimnosofisti antichi, tanto celebri al mondo, ed insomma quei sofisti, che allora ancora andavano nudi ed esercitavano gran tolleranza ne’ patimenti, ai quali Alessandro Magno mandò Onesicrito, acciocchè con loro divisasse, come per detto dell’istesso Onesicrito riferisce Strabone. […] I gioghi assistenti a chiunque veniva, davan de’ fiori ch’eran stati sparsi sopra ed intorno agli idoli, riscuotendo in cambio di quelli molti denari di limosina dalle genti che venivano a venerarli. tempio, e salendo là vicino su la muraglia della città, vedemmo da quell’alto il piccolo fiume chiamato Sabermetì, che fuor della città corre da quella banda sotto le mura. Sopra la sua riva stavano esposti al sole molti gioghi di vita più austera, cioè di quelli che non solo nudi come gli altri che ho descritti, ma vanno anche tutti sparsi di cenere e tinti il corpo e il viso di un color biancaccio sopra nero, che lo fanno con una certa pietra che a guisa di calce si sfarina, e portano barbe e capelli lunghi, incolti, avviluppati rozzamente, e diritti talvolta a foggia di corna, dipinti essi bene spesso, o piuttosto sporcati, di varii colori, che son figure molto strane a vedere e paion tanti diavoli, di quei che nelle commedie ed in altre nostre feste si rappresentano. La cenere di che si spargono i corpi, intendo che sia cenere di cadaveri bruciati, e che per aver di continuo memoria della morte, ne vadano sempre in quella guisa imbrattati tutta la vita. Una gran mandra adunque di costoro col lor capo, che con una bandiera stravagante, fatta di molti cenci di varii colori gli guida, e tutti a lui religiosamente ubbidiscono, stavan sopra il fiume assisi in giro, come è lor costume, e vi erano anche per quella piaggia molte genti che venivano, chi a passeggiare e chi a lavarsi, avendo gl’Indiani gentili in gran venerazione i lor fiumi, e non poca superstizione nel bagnarsi in quelli.

[…] [p822] Lì vicino nella medesima fabbrica, ma separato da questo, v’è un altro tempio di forma quadra, ma più semplice, dentro al quale si vedono molti e molti idoli di diverse forme, de’ quali per il poco tempo, e per non sapere io la loro lingua, non ho potuto sapere nè ’l nome, nè le istorie: fuor della porta di questi templi vidi assisa in terra in giro un’altra caterva di quei gioghi nudi, e sporcati il corpo di cenere, terra e colori, che dissi aver veduto sopra il fiume di Ahmedabad, facendo corona al loro archimandrita, che non solo da loro, che sono religiosi della lor setta, ma anco dagli altri Indiani secolari, per riputazione di santità era tanto venerato, che io vidi molte persone gravi andare a fargli profonda riverenza e baciargli la mano e stargli umili innanzi per sentirne qualche sentenza; ed esso con una gravità grande, o per dir meglio con uno strano disprezzo di tutte le cose mondane, mostrava in apparenza con grand’ipocrisia, appena degnarsi di parlare e rispondere a quelli che andavano ad onorarlo. Questi gioghi non son per razza ma per elezion di vita, come appunto fra di noi i religiosi. Vanno nudi col corpo tinto e sporcato, come ho detto di sopra, i più di loro; però alcuni solo nudi, col resto del corpo pulito, ovvero tinti solo la fronte con sandalo e con qualche color rosso, giallo o bianco, che se ben è strano, non è però sporco, anzi son cose pulite ed odorifere, e da molti secolari ancora usate, e per superstizione e per delizie. Vivono di limosina, sprezzando la roba e tutte le altre cose del mondo. Non pigliano moglie, e professano rigorosa castità, almeno in apparenza, chè in secreto si sa che molti di loro fan vigliaccherie quanto possono. Vivono in comunità sotto l’obbedienza del loro capi: vanno errando per il mondo senza aver quasi luogo fermo. Le loro abitazioni son le piazze, le strade, i portici, gli atrii de’ templi, gli alberi, massime sotto a quelli dove sia qualche superstizione da loro venerata, e soffrono con gran pazienza di giorno e di notte, non meno ogni rigore dell’aere che gli ardori eccessivi del sole, che in quei paesi caldi è certo cosa da ammirare. Hanno esercizi spirituali al loro modo, ed anche qualche esercizio di scienza, ma l’uno e l’altro al mio parere per quanto raccolgo da un lor libro che ho tradotto in persiano, che si chiama s’io non fallo Damerdbigiaska ovvero Kamerdbigiaska (che nell’uno e nell’altro modo è scritto, e per esser parola indiana, il copista persiano che ha scritto il mio originale, non l’intendendo, non l’ha saputa leggere nè scriver bene, nè quanto alle vocali, nè quanto alle consonanti, onde può essere che anch’io questo nome scriva male) ed è fra loro, come dice il traduttore, libro raro: per quanto, dico, da quello io comprendo, tanto gli esercizi di spirito, quanto le scienze, fra i gioghi per lo più non consistono in altro che in arti divinatorie, in secreti d’erbe e d’altre cose naturali, ed anco in magia ed incantesimi, a che son molto dediti, e con che si vantano di far gran meraviglie. Includo in questo i loro esercizi spirituali, perchè secondo il sopraddetto libro, per via di detti esercizi, d’orazioni, digiuni e cose simili superstiziose, arrivano, come a lor pare, ad aver rivelazioni che in effetto non sono altro che commerci col diavolo che apparisce loro, e gli illude in varie forme, predicendo lor talvolta le cose avvenire, e fin tal ora hanno con lui commercio carnale, non credendo però essi, o almeno non dicendo che sia il diavolo, ma che siano certe donne immortali, spirituali ed invisibili, al numero di quaranta conosciute da loro e distinte per varie forme e vari nomi, e per diverse operazioni che fanno, le quali a guisa di numi riveriscono ed adorano in molti luoghi con istrano culto, e tanto che fino alcuni principi mori in India, come uno di quei tre regoli che dominano in Dacan, Telengane e Meslepaton (Cutbsciach, se ben mi ricordo), con tutto che sia moro, per le reliquie però dell’antica gentilità in fin oggi fa grandissime feste e sacrifici ad una di queste donne in certe grotte, sotto alte montagne che stanno nel suo paese, dove è fama che quella donna immortale abbia particolare e diletta abitazione; e chi de’ gioghi con lunghi esercizi spirituali può arrivare ad aver apparizione d’alcuna di queste donne che gli predica cose future, e far col suo mezzo altre meraviglie, è stimato da loro in grado di gran perfezione, ed assai più se arriva ad esser ricevuto dalla donna immortale per suo figlio, fratello o in altro grado di parentado, ma soprattutto se è ricevuto per marito, e se ha la donna commercio carnale con lui, restando il giogho escluso dal commercio di tutte le altre donne del mondo, ch’è il maggior grado a che possa arrivare; ed allora egli ancora si dice uomo spirituale e diventato quasi di natura più che umana, con promessa di mille cose meravigliose, che per brevità tralascio. Vedan di grazia i nostri quanto inganna il diavolo, ed a che riduce questa misera gente: del resto di questi gioghi mi rimetto a quel che n’avrò scritto altrove in questo diario, particolarmente quando nel Bender di Combrù feci menzione di loro e de’ samì, che è un’altra specie di religiosi indiani che vanno vestiti, che colà vidi. E delle scienze del gioghi e de’ loro esercizi spirituali, e particolarmente d’un modo curiosissimo, ed al mio parere piuttosto naturale che superstizioso da divinar per la respirazione dell’uomo, nella quale hanno fatto in vero curiose e minutissime osservazioni, che io stesso volendole provare ho sperimentato esser vere; chi volesse saperne più ampiamente, lo rimetto al libro da me citato di sopra, il quale, come cosa peregrina, porto meco per mostrarlo all’Italia; e se avrò comodità, procurerò anche che possa vedersi un giorno da’ curiosi in nostra lingua.

[p1018] Mi domandò se a sorte era uscito dalla mia patria per qualche disgusto, o per la morte di qualche parente o persona amata, onde andassi così sperso per il mondo, perchè in India e per tutto l’Oriente sogliono farlo alcuni, che per disgusti o d’amore, o di morte di persone care, o per altri sfortunati accidenti che loro avvengono, quasi disperati si fanno gioghi se son gentili, ovvero dervisci ed abdali se son maomettani, che son pur una specie d’uomini vagabondi o disprezzatori del mondo, che quasi nudi, con una sola pelle in spalla, ed un bordone o asta nella mano vanno spersi per diversi paesi a guisa de’ nostri pellegrini, vivendo di limosine, e poco curandosi di ciò che loro avvenga, fanno vita conforme alla mala disposizione del lor cuore.

[p1055] L’undici dicembre. Andai la mattina a veder lontano da Mangalor mezza lega in circa, cioè altrettanto più in là del Banghel, per donde si passa, quanto è il Banghel da Mangalor, il luogo dell’eremo assai bello, dove abita e domina questo archimandrita de’ gioghi indiani, che i Portoghesi, liberali al solito del nome regio, chiamano ancora il re de’ gioghi, forse perchè gl’Indiani ancora in lor lingua così lo dicano; ed in effetto signoreggia un piccolo circuito di terra, dove oltre l’eremo e le abitazioni de’ gioghi, vi sono insieme alcune poche case di paesani sudditi sparse in qua ed in là, ed alcune piccolissime ville al suo governo soggette.

[p1059] III. Veduto il tempio, salii il monte, e passata la scala ed una strada lunga, là in cima trovai le abitazioni de’ gioghi e del loro re in luogo piano e piantato di molti alberi, sotto ai quali son fabbricati di pietra, e molti e grandissimi poggiuoli spaziosi da potervi star molta gente assisa all’ombra, alta alquanto da terra. Vi sono infinite cappellette quadre con diversi idoli, ed alcuni luoghi coperti sopra, aperti d’ogni intorno, alti da terra da trattenervisi i gioghi; e finalmente vi è la casa del loro re, che è umilissima, e di lei non vidi altro, nè credo che vi sia, se non un rozzo portico poco grande, con mura intorno colorite di rosso, e dipinte con elefanti e con altri animali, ed ivi, in un luogo da banda, una cosa di legno, come un letticciuolo quadro, alto da terra, e coperto sopra con panno, come trabacca, dove mi dissero solere il re stare assiso, e forse anche dormire. Il re de’ gioghi non era quivi, ma stava più innanzi in una capanna, in un grande e bel campo piano che v’è, a veder fare non so che cosa; che è tutto terreno buonissimo, e si coltiva; e dove non è piano, per le falde del monte che è piccolo, e piuttosto colle può chiamarsi, benchè in alcuni luoghi sia assai scosceso, è nondimeno piantato tutto d’alti e bellissimi alberi, per lo più di frutti; che certo, per luogo d’eremo, e mal tenuto da gente che non sa o non può farlo delizioso, mi parve assai bello. Credo che sia fabbrica dei re del Banghel, quando già erano in fiore, perchè cade nelle terre dello stato loro; e così anche che da loro fosse dato quel luogo e quella signoria ai gioghi, i quali, come non hanno moglie, così anche il dominio di quell’eremo e di tutta quella terra adiacente non va fra di loro per eredità, ma per elettiva successione. Pensava trovar quivi quantità di gioghi, come nei nostri conventi, ma non ne vidi se non uno o due, e mi dissero che non stanno uniti insieme, ma stanno sparsi in qua e in là a loro libito; abitano in diversi luoghi de’ tempii, dove lor piace, nè son soggetti a questo re di obbedienza, come i nostri fanno al loro superiore, ma solo gli fanno tutti onore e riverenza, e in certi tempi di feste se ne radunano quivi gran quantità, ai quali il re dà da mangiare finchè vi stanno. Nell’eremo vivono ben di continuo molti suoi servitori e lavoranti di terra, che quei terreni coltivano, dond’egli cava il vitto. Mi dissero che potrà tutta quella terra che possiede dentro l’eremo e fuori, rendergli cinque o seimila pagod l’anno, de’ quali la maggior parte spende nelle sue feste, ed il resto, nel vitto, ed in ciò che bisogna per l’ordinario culto del tempio e de' suoi idoli; e che Venk-tapà Naieka insin ora da lui non pigliava tributo, ma che si dubitava che per l’avvenire lo volesse.

[p1060] IV. Andai finalmente a vedere il re de’ gioghi, dove stava in quel tempo all’ombra d’una capanna, e lo trovai occupato nei suoi negozii rozzamente, come un uomo di campagna e di villa. Era vecchio, con barba tutta bianca e lunga, ma robusto; in ambedue le orecchie portava appese due palle che parevano d’oro, non so se vuote o piene dentro, più grosse che una palla di moschetto; ed i fori delle orecchie eran grandi, e l’estremità per il peso assai cadute. In testa teneva un berrettino rosso, di quei che portano i nostri galeotti, che fino in India si portano a vendere con guadagno. La vita nuda dalla cintura in su portava avvolta con un panno di bombace rigato a scacchi di più colori, ed onestamente sottile; non era egli molto basso, e di colore, per indiano, piuttosto bianco. Pareva uomo di giudizio; ma tentandolo io in diverse cose, non lo conobbi per letterato. Mi disse che prima aveva cavalli, elefanti, palanchini, e molto apparato e potere; ma che Venk-tapà Naieka gli aveva tolto tutto, e che ora gli era restato molto poco. Che tra venti giorni in circa avea da essere in quel suo luogo una festa grande, alla quale si sarebbero radunati molti gioghi da diverse parti, che io avrei avuto gusto di vederla; avrei trovato un di loro che sapeva parlar arabo e persiano, ed era molto dotto, che mi avrebbe potuto dar soddisfazione di molte cose; ed esagerando le qualità di questo giogo, mi disse che aveva una testa così grossa (facendomi per segno un gran circolo con le braccia), cioè di capelli rabbuffati e lunghi, che tanto tempo fa non s’aveva mai tagliato nè pettinato o polito. Io gli domandai che mi desse il suo nome scritto, per mia memoria, giacchè era venuto a vederlo. Mi rispose, come sogliono far per lo più gli Orientali a certe domande curiose, a che serviva questo? ed insomma non me lo volle dare, e m’accorsi ch’era per un vano ed ignorante timore che non fosse a lui di qualche danno. Contuttociò nell’uscire lo seppi da altri degli uomini suoi, e mi dissero chiamarsi Batinato; e che l’eremo e tutto quel luogo si chiamava Cadirà.