Dell'uso dell'inglese nelle aule universitarie · Test Web Page

Dell'uso dell'inglese nelle aule universitarie

A proposito di lingua inglese per le lezioni/esami (e internalizzazione)

È di qualche giorno fa

la sentenza del Consiglio di Stato N. 00617/2018REG.PROV.COLL. – N. 05151/2013 REG.RIC, «sul ricorso numero di registro generale 5151 del 2013, proposto da: Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, Politecnico di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato. [..omissis..] per la riforma della sentenza 23 maggio 2013, n. 1348, del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano.»

Alcuni passi della sentenza sono interessanti, anche perché sollevano alcune questioni di costituzionalità non banali.

Storia: Il Senato accademico del Politecnico di Milano, con delibera del 21 maggio 2012, ha attivato, a partire dall’anno 2014, corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca esclusivamente in lingua inglese. Alcuni docenti dell’Ateneo milanese hanno impugnato la suddetta delibera innanzi al TAR Lombardia. Il TAR, con sentenza 23 maggio 2013, n. 1348, ha accolto il ricorso, annullando l’atto impugnato. Il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e il Politecnico di Milano hanno proposto appello avverso la predetta sentenza, riproponendo le eccezioni di irricevibilità e di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse. Si sono costituiti in giudizio i ricorrenti di primo grado, chiedendo il rigetto dell’appello.

La Sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto che l’art. 2, comma 2, lettera l), legge n. 240 del 2010 (legge Gelmini) contrasti: i) con l’art. 3 Cost., perché non tiene conto delle diversità esistenti tra gli insegnamenti e in quanto non si può in ogni caso giustificare l’abolizione integrale della lingua italiana per i corsi considerati; ii) con l’art. 6 Cost., dal quale si ricava il principio di ufficialità della lingua italiana; iii) con l’art. 33 Cost., in quanto la possibilità riservata agli atenei di imporre l’uso esclusivo di una lingua diversa dall’italiano nell’attività didattica non sarebbe congruente con il principio della libertà di insegnamento, compromettendo la ivi compresa libera espressione della comunicazione con gli studenti attraverso l’eliminazione di qualsiasi diversa scelta eventualmente ritenuta più proficua da parte dei professori.

La suddetta questione è stata decisa dalla Corte costituzionale, con sentenza interpretativa di rigetto 24 febbraio 2017 n. 42: la Corte, con sentenza n. 42 del 2017, ha rigettato tale questione, ritenendo che possa essere fornita una interpretazione della norma censurata idonea ad escluderne la illegittimità.

Inoltre, in relazione alla valenza delle lingue straniere, la Corte ha affermato che: «La progressiva integrazione sovranazionale degli ordinamenti e l’erosione dei confini nazionali determinati dalla globalizzazione possono insidiare senz’altro, sotto molteplici profili, tale funzione della lingua italiana: il plurilinguismo della società contemporanea, l’uso d’una specifica lingua in determinatiambiti del sapere umano, la diffusione a livello globale d’una o più lingue sono tutti fenomeni che, ormai penetrati nella vita dell’ordinamento costituzionale, affiancano la lingua nazionale nei più diversi campi».

Tale principî costituzionali, «se sono incompatibili con la possibilità che intieri corsi di studio siano erogati esclusivamente in una lingua diversa dall’italiano, nei termini dianzi esposti, non precludono certo la facoltà, per gli atenei che lo ritengano opportuno, di affiancare all’erogazione di corsi universitari in lingua italiana corsi in lingua straniera, anche in considerazione della specificità di determinati settori scientifico-disciplinari».

Ciò vale solo, conclude la Corte, con riferimento «all’ipotesi di intieri corsi di studio universitari». La disposizione qui scrutinata, «a dimostrazione di come l’internazionalizzazione sia obiettivo in vario modo perseguibile e, comunque sia, da perseguire» consente invece «l’erogazione di singoli insegnamenti in lingua straniera».

A seguito della predetta sentenze le parti del giudizio hanno depositato memorie, ciascuno ritenendo che la sentenza deve essere letta in conformità alle deduzioni da esse, rispettivamente, prospettate.

La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 23 novembre 2017.

[..omissis..] ne consegue l’infondatezza dell’appello e l’illegittimità delibera del 21 maggio 2012 del Senato accademico del Politecnico di Milano, nella parte in cui ha previsto che «intieri corsi di studio siano erogati esclusivamente in una lingua diversa dall’italiano».

In altre parole, in funzione della specificità di determinati SSD si possono erogare insegnamenti esclusivamente in lingua inglese. Non int(i)eri corsi di laurea, ma questo mi pare possibile a patto che non sia vincolante l’uso dell’inglese, e che i docenti siano d’accordo (per la libertà di insegnamento).

Infatti, per il principio costituzionale della libertà dell’insegnamento. la libertà è «garantita ai docenti dall’art. 33, primo comma, Cost., la quale, se è suscettibile di atteggiarsi secondo le più varie modalità, “rappresenta pur sempre (…) una prosecuzione ed una espansione” (…)della libertà della scienza e dell’arte»;

L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

Quindi …

…tecnicamente un corso di studi interamente in inglese non deve essere accreditato? Il titolo di studio non vale? L’atto del Senato del Politecnico è stato annullato. Supponendo che ne approvino un altro equivalente, cosa succederebbe dei corsi di laurea in inglese? Cosa ne è degli studenti che nel frattempo hanno seguito i corsi di studio in inglese e si sono laureati?