Alcune poesie di Diego Valeri · Test Web Page

Alcune poesie di Diego Valeri

Diego Valeri (nato il a Piove di Sacco il 1887-01-25, morto a Roma il 1976-11-27)

Quel pomeriggio dolce

(Calle del vento, 1975)
Quel pomeriggio dolce
si andava lungo il fiume.
E ci sorprese a un tratto,
dall'altra riva,
un vasto coro, un alto
rammarichìo di tortore selvagge
raccolte lì, chissà come, da quando.
Il bel fiume era l'Adda
errabonda per prati e campi,
tra leggiere boschine di pioppi.
Sopra era teso un cielo senza nubi,
appena nebuloso:
il bel cielo di Lombardia,
così bello, così in pace.

 

Batte il mattino ...

(Poesie vecchie e nuove, 1930)
Batte il mattino al ferrigno bastione
dei nuvoloni notturni : repente
s'apre una lunga fessura lucente,
scoppia uno squarcio di fiamma più su.
Un razzo d'oro; e un sussulto, un tremore
d'oro per l'ombre; oro a rivoli, a onde ...
Più in alto: spiaggie di nuvole bionde,
calme e profonde lagune di blu.

 

Riva di pena, canale d'oblio ...

(Poesie vecchie e nuove, 1930)
Ora è la grande ombra d'autunno:
la fredda sera improvvisa calata
da tutto il cielo fumido oscuro
su l'acqua spenta, la pietra malata.
Ora è l'angoscia dei lumi radi,
gialli, sperduti per il nebbione,
l'uno dall'altro staccati, lontani,
chiuso ciascuno nel proprio alone,
Riva di pena, canale d'oblio ...
Non una voce dentro il cuor morto.
Solo quegli urli straziati d'addio
dei bastimenti che lasciano il porto.

 

Albero

(Terzo tempo, 1950)
Tutto il cielo cammina come un fiume,
grandi blocchi traendo di fiamma e d'ombra.
Tutto il mare rompe, onda dietro onda,
splendido, alle fuggenti dune.
L'albero, chiuso nel puro contorno,
oscuro come uno che sta su la soglia,
muto guarda, senza battere foglia,
gli spazi agitati dal trapasso del giorno.

 

Dicembre

(Terzo tempo, 1950)
Tristi venti scacciati dal mare
agitavano la città notturna.
Da nere gole aperte tra le case
rompevano, invisibili
ombre, con schianti ed urla;
si gettavano per le vie deserte
ferme nel bianco gelo dei fanali,
urtavano alle porte
sbarrate, s'abbrancavano alle morte
rame d'alberi dolenti,
scivolavano lungo muri lisci,
dileguavano via, serpenti,
con fischi lunghi e lenti strisci...
Ora mi sporgo all'attonita pace
della grigia mattina: tutto tace.
Teso il cielo di pallide bende.
Il gran cipresso, assorto, col suo verde
strano, nell'alta luce. Un coccio lustra
tra la terra bruna dell'orto.
Finestre senza tende, cupe,
guardano intorno. Non c'è voce umana,
grido d'uccello, rumore di vita,
nell'aria vasta e vana.
C'è solo una colomba,
tutta nitida e bionda,
che sale a passi piccoli la china
d'un tetto, su tappeti
fulvi di lana vellutata, e pare
una dolce regina
di Saba
che rimonti le silenziose scale
della sua fiaba.

 

I pescatori

(Terzo tempo, 1950)
Rovesciavi il bel viso in fanciullesco modo,
per ascoltare quel trillo alto perduto di allodola;
guardavi stupita gli spazi, la bianca mattina
fumante nel sole, confusa alla bianca marina.
Poi vennero i pescatori: con lunghi strappi oscillanti,
con rotte grida, tiravano in secco le reti stillanti.
Nel bruno groviglio dei fili scorgesti un guizzare d'argenti
di azzurri di verdi. Ridevi tutta, occhi labbra denti.

 

Davìd morente

(Verità di uno, 1970)
Un nero vento di settentrione
con crude fitte di gelo
m'inchioda le ginocchia.
Eppure è estate ancora,
e l'aria sul mio volto è ferma.
Fate che la fanciulla bianca
mi copra col suo corpo,
mi sciolga i piedi col tepore
del petto che dolce respira.
Signore, questa è la mia fine. Ma
la mia vita, che era, che fu?
Vedo soltanto il nembo di fuoco
in cui scaglio il mio sasso di fionda,
e la nube è spaccata e n'esce un fiume
di sangue. Forse nel sangue è la mia gloria? ...
Perché piange, ora, il mio Re?
Seduto al rivo che fuggendo canta,
il mio Re piange sul distrutto esercito.
L'arpa, ecco, gli risponde vibrando:
ne cadono tre note come lagrime.
Signore, questa è la mia fine.
Le armi, i cavalli, le trombe ...
Non so più... So che un giorno ho danzato
davanti all'Arca santa,
e Micol mi guardava muta
con occhi duri come castagne secche.
Ma Betsabea, nella notte dolce,
splendeva nuda come la luna,
spandeva odore di rosa notturna.
Signore, questa è la mia fine.
La mia fine è in pensieri d'amore.

Grazie a Questo Blog per le prossime due poesie.

Foglie, giù foglie...

(Poesie vecchie e nuove, 1930)
Foglie, giù foglie nella lenta pioggia
di questa dolce disperata sera!
Foglie, giù foglie: grandi pese fracide
foglie d'ippocastano, e verdi e lievi
e trepide fogliette di robinia;
giù, per l'albore freddo dei lampioni,
giù, sul lucido asfalto della via...
E noi due si cammina si cammina,
senza parlare, l'uno accanto all'altra,
portando in cuore faticosamente
la stessa soma di malinconia.
Foglie, giù foglie. E c'è forse qualcosa
che muore intanto nella nostra vita,
che così muore, e non vuole morire.

 

Solo

(Poesie vecchie e nuove, 1930)
Io non ho fiori da versar sul folto
tappeto di trifoglio e di gramigna
che veste la tua fossa; io non ho quasi
neppur lagrime più da lagrimare
sul tuo povero cuore seppellito
qui, sotto questa terra. Solamente,
io mi guardo, io mi cerco in fondo all'anima,
per veder te, per ritrovare il tuo
viso sfiorito di malata, e il riso
pallido dei tuoi dolci occhi di pianto,
e i tuoi capelli bianchi ancòra sparsi
di qualche ciocca bionda, e le tue mani
di mamma bruciacchiate al focolare.
Invano, mamma. Non ti trovo più
nel mio profondo; e sono tutto solo,
pur così presso a te, con te, nel calmo
cimitero, tra i marmi ed i rosai;
solo nella dolcezza stupefatta
di questo pomeriggio azzurro e bianco;
solo nel gran silenzio, in cui non odo
che un fruscio di lucertola tra l'erba
e il soffio d'una rosa che si sfa.

 

Transitorietà

(traduzione: Liriche tedesche - Hesse, 1942)
Foglia su foglia piove
l'albero della vita.
O colorato mondo,
come sazi e affatichi
Il nostro cuore, come
lo sazi e inebrii!
Ciò ch'oggi è fuoco vivo
domani sarà spento.
Presto sopra il mio tumulo
bruno stormirà il vento;
sul suo piccolo figlio
si curverà la Madre.
Ch'io riveda i suoi occhi,
che sono la mia stella.
Ogni altra cosa passa,
alla morte s'affretta;
solo l'eterna Madre
sta, da cui noi venimmo.
Il suo dito lievissimo
scrive nell'aria labile
il nostro nome.

Si può confrontare

quest’ultima traduzione con la seguente, di Mario Specchio, e più sotto l’originale di Hesse. Interessante: Registrazione della lettura da parte dell’autore.

Caducità

(a cura di Mario Specchio - Poesie - Hermann Hesse, Guanda, 2011)
Su me dall'albero della vita
foglia su foglia cade.
O variopinto mondo senza senso
come ci rendi sazi,
sazi e stanchi
come ci rendi ebbri!
Ciò che ancor oggi arde
sprofonda presto.
Presto sibila il vento
sulla mia bruna tomba,
si reclina la madre
sul suo figlioletto.
Gli occhi suoi voglio rivedere
il suo sguardo è la mia stella,
tutto il resto vuole dileguare e sparire,
tutto muore, tutto muore volentieri.
Resta solo l'eterna Madre
dalla quale noi venimmo,
nell'aria labile le sue dita
giocano a scrivere il nostro nome.

 

Vergänglichkeit

(Hermann Hesse, 1919)
Vom Baum des Lebens fällt
Mir Blatt um Blatt,
O taumelbunte Welt,
Wie machst du satt,
Wie machst du satt und müd,
Wie machst du trunken!
Was heut noch glüht,
Ist bald versunken.
Bald klirrt der Wind
Über mein braunes Grab,
Uber das kleine Kind
Beugt sich die Mutter herab.
Ihre Augen will ich wiedersehn,
Ihr Blick ist mein Stern,
Alles andre mag gehn und verwehn,
Alles stirbt, alles stirbt gern.
Nur die ewige Mutter bleibt,
Von der wir kamen,
Ihr spielender Finger schreibt
In die flüchtige Luft unsre Namen.